“Se un diritto di proprietà industriale appartiene a più soggetti, le facoltà relative sono regolate, salvo convenzioni in contrario, dalle disposizioni del codice civile relative alla comunione in quanto compatibili”. Così il Codice di Proprietà Industriale all’articolo 6 disciplina l’istituto della comunione dei diritti di Proprietà Industriale. Su queste poche parole si è basata la recente sentenza del Tribunale di Venezia in materia di comunione dei diritti di PI all’interno di un procedimento che aveva per oggetto l’utilizzo illegittimo di un marchio registrato per mancato consenso nonostante un provvedimento avesse accertato la comunione del segno contestato.
Entriamo più nel dettaglio contestualizzando la vicenda alla luce innanzitutto della normativa vigente, partendo da quanto previsto dal Codice Civile e dal Codice di Proprietà Industriale.
Segni distintivi e uso disgiunto di un bene
La questione parte dalla necessità di conciliare quanto previsto dal Codice Civile con l’uso disgiunto di un bene da parte di tutti coloro che ne sono titolari. L’articolo 1102 del Codice Civile, infatti, recita
Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.
Per quel che riguarda un marchio in comunione, quindi, è necessario stabilire se e come i comproprietari possano usufruire del medesimo marchio conciliando esigenze di tipo privatistico dei diversi titolari del marchio con quelle non meno importanti della tutela dell’interesse dei consumatori. Senza sottovalutare come ciascuno dei titolari è un imprenditore indipendente dal punto di vista giuridico ed economico e per questo motivo costituiscono dei centri decisionali autonomi.
L’uso disgiunto del marchio trova un limite importante nel divieto di utilizzo ingannevole (decettivo) in quanto il marchio può anche essere oggetto di uso da parte di imprese diverse.
La normativa vigente non prevede riferimenti specifici per questi casi e questo stato di cose può essere superato tramite la creazione di un regolamento che disciplini l’utilizzo della cosa comune prestando particolare attenzione alle regole da seguire per il rispetto di standard qualitativi uniformi da parte di tutti coloro che utilizzano lo stesso segno in modo tale da garantirne un utilizzo conforme nei confronti della collettività.
È quindi il rispetto di standard qualitativi specifici da parte di tutti i titolari del marchio che determina l’uso non ingannevole. Ed è per questo che, spiega il Tribunale di Venezia nella sentenza che abbiamo preso in esame, non è necessaria un’autorizzazione esplicita da parte di tutti i titolari di un marchio collettivo perché ognuno di loro se ne possa servire separatamente. È invece necessario il rispetto di regole comuni e condivise che permetta di evitare che prodotti e servizi siano privi di quelle differenze qualitative rilevanti nonostante provengano da imprese diverse.